Cosa va, cosa non va (nella Didattica della Matematica nelle Scuole secondarie di secondo grado)

Galileo Galilei once said: “You cannot teach a man [or woman] anything; you can only help him [or her] to find it within himself [or herself].”

“It is not so very important for a person to learn facts. For that he does not really need a college. He can learn them from books. The value of an education in a liberal arts college is not the learning of many facts, but the training of the mind to think something that cannot be learned from textbooks.”   –  Albert Einstein

Alcune (doverose?) precisazioni sul mio metodo didattico.
Sono piuttosto avvezzo al ricevere critiche riguardo l’impostazione che tendo a dare alla mia didattica, ma sono anche solito difendere le mie opinioni. Il 2016 non mi ha ancora visto destituito dal mio incarico: approfitto dunque di questa congiunzione astrale per fornire, apertis verbis, dei chiarimenti riguardo le mie metodologie. Le righe che seguono vanno probabilmente a violare parte di ciò che in pedagogia è noto come compromesso didattico, ossia il fatto che un intervento efficace debba almeno parzialmente celare le sue origini e i suoi scopi. Mi accingo dunque a compiere una piccola violazione, in nome della trasparenza.

– Quello che secondo me non va nella didattica della Matematica.
Molte cose, in primis una eccessiva compartimentazione. Non credo ci sia alcuna necessità di tenere separate l’Aritmetica dalla Geometria, ad esempio. Non credo nel valore della tassonomia fine a se stessa (i problemi del tre semplice e del tre composto sono lo stesso problema, non c’è alcuna necessità di introdurre i termini propriaimpropria o apparente per designare certe frazioni, quando si dispone già di un metodo per confrontare frazioni e interi arbitrari) e non credo che le problematiche e le definizioni vadano semplificate al punto da renderle scorrette. Ad esempio, è molto in voga il termine numero decimale, anziché numero reale, al fine di nascondere sotto il tappeto il fatto che i numeri reali siano una costruzione artificiale piuttosto complessa. Peccato che decimale sia un aggettivo che sarebbe corretto affiggere alla rappresentazione di un numero (forma) anziché al numero stesso (sostanza). Uno, zero-virgola-nove-periodico e cinque-quinti sono precisamente lo stesso numero, che senso ha allora dire che soltanto uno dei tre è un numero decimale? A volte la realtà della matematica (come costruzione artificiale e talvolta arbitraria) può essere lontana dall’intuito dell’uomo della strada. Ciò non costituisce una buona ragione per stravolgere la realtà della Matematica, ma solo per affinare l’intuito del singolo. Questa è la ragione per cui cerco di essere molto preciso nell’utilizzo del linguaggio matematico: la matematica è un apparato molto delicato, cambiando una virgola si rischia di fare e asserire tutt’altro, con buona probabilità qualcosa di falso. La dicotomia tra forma e sostanza è anche la ragione per cui tendo ad ossessionare i miei alunni con un unico, spietato, interrogativo: perché? Il perché non è un dilettevole orpello, il perché è l’anima della Matematica. Semmai, è tutto il resto che si può catalogare come orpello. Noli, obsecro, istum disturbare è una frase che venne pronunciata da uno degli uomini più eminenti della storia, mentre produceva Matematica di altissimo livello, con il solo ausilio della sabbia di un litorale e dell’indice della sua mano destra. Subito prima di essere decapitato.

-L’intuito non si affina portando a termine molti dettati.
Il concetto di bravura in matematica è da molti inteso come la capacità di replicare esattamente quanto ascoltato in altra sede e risolvere problemi secondo procedure per le quali si è stati diligentemente addestrati. Sarò molto chiaro a riguardo: questa potrebbe essere una buona definizione per l’intelligenza di una scimmia, ma non è di certo adeguata come definizione di abilità logico/matematica di una persona. Non sono solito assegnare decine di esercizi tutti uguali, privi di alcuna asperità concettuale, perché non credo che abbiano alcuna reale importanza. Credo si possa aspirare ad una reale crescita intellettuale di un individuo soltanto se lo si pone di fronte a sfide adeguate. Questo è il motivo per cui i problemi che propongo possono sembrare difficili: perché lo sono. Perché mirano non soltanto ad accertare che i ragazzi abbiano acquisito correttamente degli enunciati, ma che sappiano anche coordinare le idee acquisite. Altrimenti non si tratta di apprendere e crescere: si tratta di stipare nell’armadio concetti naturalmente destinati al dimenticatoio, sprecare un sacco di inchiostro e carta e far arrabbiare il dio della foresta;

-Non sono cieco.
Per quanto il mio modo di insegnare possa apparire dall’esterno come intensa espressione di sadismo e follia, vi assicuro che non lo è. Vi assicuro che ho consapevolezza del mestiere che ho scelto; vi assicuro che la mia didattica è improntata unicamente al fine di essere realmente utile ai ragazzi; vi assicuro che dietro ogni scelta, per quanto discutibile, c’è una ragione; vi assicuro che tra il praticamente ovvio, l’appena difficile e il terribilmente difficile ci sono moltissimi gradi di separazione, e quello che viene posto come esercizio o sfida ai ragazzi non è frutto di un destino già scritto, ma funzione del loro stato di crescita. Insomma, prima di saltarmi al collo, lasciatemi un po’ fare il mio lavoro e cercate di darmi un minimo di fiducia. Io ne ho già data ai ragazzi lasciandoli liberi di organizzare il proprio studio, facendo ben presente soltanto quali siano il punto di partenza, il punto di arrivo e il luogo dove reperire sintesi dei punti salienti. In ogni caso, sono sempre disposto a considerare l’opinione altrui, e il fatto che al momento la pensi in un certo modo non è garanzia che io continui a farlo indipendentemente dai riscontri che colleziono quotidianamente.

Le problematiche della Didattica della Matematica nelle scuole superiori italiane

1)La preparazione degli insegnanti
Indipendentemente dal riscontro economico (tutt’altro che lusinghiero nel caso dell’Italia) la professione dell’insegnante dovrebbe essere guidata da una certa vocazione E dalla profonda conoscenza dei contenuti materiali della disciplina. Nessuno dei due aspetti è sacrificabile: l’assenza del primo conduce al disinteresse verso la profondità del processo di apprendimento, l’assenza del secondo conduce all’inefficacia dell’intervento didattico. Purtroppo per molti l’insegnamento è solo una scelta di ripiego (ciò è anche effetto di alcune infelici scelte politiche adottate nel passato), dunque non è difficile imbattersi in esempi viventi di insegnanti che risultino carenti di una o ambedue le precedenti caratteristiche imprescindibili. Non temo di essere caustico anche nei confronti del processo di formazione degli insegnanti: nella mia esperienza personale, gli elementi di didattica della Matematica rivolti al personale in formazione hanno avuto poco o nulla a che fare con la Matematica.
Se è certamente vero che non possiamo elidere la componente umana dalla scienza, dall’insegnamento o dall’insegnamento della scienza, è anche vero che non possiamo elidere la scienza dalla scienza.

2) I libri di testo
I libri di testo in circolazione (anche quelli “di punta” a livello di diffusione) sono semplicemente PESSIMI, e le ragioni sono molteplici: troppe pagine, troppi colori, troppo peso, troppo vuoto concettuale.
Quasi tutti i libri di testo, più che essere suddivisi in capitoli, sono suddivisi in compartimenti stagni, e al termine di ogni capitolo è presente una lista sconsiderata di problemi tutti uguali, prevalentemente del tutto banali, orientati al puro computo. La parte di esposizione teorica è molto spesso zeppa di errori o imprecisioni, notazioni molto fantasiose e distanti dalla prassi matematica universale, ed ha un’impostazione tipografica che rasenta il pericolo di causare crisi epilettiche, per l’abuso di colori, riquadri, evidenziature d’ogni sorta. Altro aspetto tutt’altro che trascurabile è il peso di tali volumi e il loro costo. I testi attualmente adottati violano essenzialmente TUTTE le seguenti ragionevolissime richieste:

    – non spezzare la schiena degli studenti né svuotare le tasche dei loro genitori;
    – trasmettere un’idea della Matematica coerente con quello che la Matematica realmente è: un’espressione umana (di tipo artistico, senza neppure forzare troppo la semantica dell’espressione) che coinvolge un lessico ben preciso e delle tappe concettuali fortemente connesse. La Matematica si estrinseca principalmente nel problem solving, e il problem solving non dovrebbe mai essere un’attività di puro computo, ma un’attività volta a favorire l’insorgenza di interconnessioni concettuali all’interno del soggetto discente. Gli esercizi di tipo dimostrativo (e la padronanza delle tecniche dimostrative) non sono raffinatezze elitarie, ma parti essenziali. E’ semplicemente vergognoso quanto sia affermata l’idea che il “fare Matematica” significhi passare molto tempo, al fine di diventare veloci e scaltri, a moltiplicare numeri interi di due o tre cifre. I libri di testo ne sono sicuramente complici;
    – avere il dono della sintesi e della coerenza.
      Una frase attribuita al fisico Feynman recita: “Non so se sono riuscito a rendere semplici le questioni complicate, ma di sicuro non ho mai complicato una questione semplice.” I libri di testo dovrebbero seriamente adeguarsi a questo paradigma, evitando di snocciolare tassonomie inutili e andando dritti al cuore dei concetti, senza troppi fronzoli. Gli esempi sono essenziali per l’esposizione, ma mille esempi non rimpiazzano una definizione;
    – non trattare i fruitori come fossero degli imbecilli.
      E’ un’idea molto diffusa tra gli educatori che i ragazzi, specie quelli più giovani, “non siano pronti” ad affrontare questo o quest’altro, nella fattispecie: la simbologia matematica, il rigore matematico, lo scrivere una dimostrazione, l’utilizzare simultaneamente risultati presenti in compartimenti diversi, l’aritmetica di base, la geometria sintetica di base, la combinatoria di base. Protetti da questo falso mito, gli educatori e i libri di testo si auto-giustificano non solo a sorvolare sull’essenziale, ma a rimandarne la trattazione a “mai”. Oltre che goffo, risibile e ipocrita, tale approccio è devastante per quanto concerne le lacune (voragini) lasciate in eredità agli studenti. La Matematica non andrebbe svilita in tal modo, neppure in nome dei più nobili ideali;
    – proporre delle sfide degne di questo nome al fine di incentivare l’attenzione e la curiosità intellettuale dei fruitori.
      Un calzante paragone sportivo è il seguente: un giovane atleta, allenato a saltare una sbarra posta a un metro da terra, difficilmente sarà in grado di saltarne una posta a un metro e cinquanta, per quanto tale misura sia il minimo di una dignitosa performance. Bisogna evitare di cristallizzare l’insegnamento della matematica nella trasmissione di stilemi fini a se stessi, sarebbe opportuno proporre dei problemi che costituiscano uno stimolo efficace, anche leggermente oltre il livello di difficoltà che ci aspettiamo essere tollerato dagli studenti: no pain, no gain. Ovviamente, condizione necessaria affinché ciò possa aver luogo è che gli autori dei testi e gli insegnanti in classe sappiamo gestire situazioni più complesse dell’usuale, “usuale” da intendersi come entità storica ingombrante.

3) I contenuti e gli obiettivi
Quello che fino a pochi anni or sono era il Programma Ministeriale ora è diventato un insieme di indicazioni. Tale trasformazione era auspicabile nell’ottica di garantire una maggiore flessibilità nell’insegnamento, ed è stata positivamente accolta in maniera pressoché unanime. Tuttavia, il corpus che in precedenza costituiva una prescrizione, attualmente soltanto una indicazione, continua ad essere piuttosto sgangherato – mi riferisco nuovamente all’assenza di imprescindibili elementi di aritmetica, al fatto che i ragazzi vengano messi al corrente dei contenuti del quinto assioma di Peano (ammesso che ciò avvenga) troppo tardi, alla disattenzione nei confronti della geometria sintetica, delle dimostrazioni e delle tecniche di dimostrazione, della combinatoria etc.
Come si può richiedere che, con simili basi, uno studente comprenda realmente la rivoluzione insita nelle geometrie non euclidee, nelle trasformazioni di Lorentz contrapposte a quelle di Galileo, nell’importanza dello sviluppo del calcolo infinitesimale, oltre un minimo e grottesco livello di affabulazione e suggestione? Anche senza mirare così in alto, e formulando una didattica puramente funzionale al garantire che gli studenti siano in grado di affrontare gli Esami di Stato (anche questi, contenutisticamente invariati da dieci anni, almeno) non credo sia eccessivo ammettere che si sta facendo troppo poco, e molto male.

4) Nessuna valorizzazione delle eccellenze
Il nostro sistema educativo, specie per quanto riguarda il periodo dell’obbligo scolastico, è molto teso al raggiungimento degli obiettivi minimi e alla tutela degli studenti che riscontrano maggiori difficoltà di apprendimento. Non ci sarebbe assolutamente nulla di negativo da sottolineare in tale situazione, se essa non comportasse de facto la quasi totale assenza di tutele per gli studenti che invece risultano più brillanti, e che paradossalmente finiscono per non trarre alcun giovamento dalle attività in classe (come se una volta raggiunta una valutazione, le frontiere di miglioramento e di indagine cessassero di esistere) ma anzi essere discriminati dai propri compagni in quanto secchioni o cocchi del prof.
Il sistema di tutela è da rivedere in senso simmetrico, in modo che a nessuno studente siano negate le opportunità che una buona prassi garantirebbe: corsi di recupero sì, ma anche corsi di potenziamento; insegnamento personalizzato sì, ma non soltanto per chi evidenzia carenze, soprattutto per chi evidenzia talento.

Addendum: Christian e Simone, sollevate entrambi delle obiezioni cruciali. C’è il problema, proprio di qualunque società, che i cambiamenti indispensabili sono percepiti come tali solo da una minoranza illuminata, la restante parte vive la sua vita schiava della “tradizione”, della propria cecità e di normative totalmente arbitrarie. E la tradizione scolastica, in Italia, diciamolo apertamente, salvo rarissime eccezioni è all’insegna del “volemose bene e non facciamo ‘n cazzo”, status frequentemente malcelato dietro motivazioni risibili come “non è programma, non sono pronti, non ci arrivano”, e guai a far notare che è una situazione tremendamente localizzata, falsissima in generale. Guai anche a far notare che lo stare al mondo è spesso assai crudele (e molto lontano dal “volemose bene”), anche perché per una generazione di furbetti e scansafatiche allevarne un’altra con le medesime caratteristiche è piuttosto semplice. Così, schivando impegno e responsabilità a piè sospinto, ci si trascina di istituzione in istituzione con lacune che diventano voragini, fino al triste giorno in cui una competizione o un concorso ci fanno sbattere il grugno contro un muro e sgretolano per sempre la nostra illusione di successo scolastico. D’altra parte, non si può neppure pretendere che degli insegnanti sottopagati, sottostimati, vituperati e sviliti ricoprano idealmente la posizione di guide e motivatori. Si potrebbe tuttavia far chiarezza nella filosofia di fondo, quantomeno riguardo alcuni dei suoi aspetti più contraddittori: vogliamo uguaglianza/equità, prove e valutazioni uniformi, o vogliamo fare del singolo studente un caso a sé stante, con tanto di proliferazione di BES, DSA, PDP e altre sigle significative? Entrambe le posizioni sono rispettabili, ma è evidente che siano tra loro inconciliabili. Infine, ci sarebbero da eradicare, con decisione, certi “burocratismi” idioti. Nel mondo della scuola è spesso richiesto che gli insegnanti stilino dei prospetti piuttosto dettagliati, per poi condensare questi prospetti in uno specchietto riassuntivo, quindi gettare lo specchietto riassuntivo nel cestino della carta, perché nessuno se ne fa obiettivamente nulla. Ecco, così come in Matematica diamo delle definizioni solo quando è sensato farlo, ci sarebbe da allargare questa ragionevolezza anche alle meccaniche collaterali all’insegnamento. E’ molto vero che non si può pretendere che un lavoro venga svolto bene se lo si vincola al soddisfare mansioni inutili.

La Matematica e il bruto computo
Nelle scuole medie e superiori è abbastanza affermato un tipo di Didattica piuttosto deviato, teso a proporre solo esercizi di bruto computo – risolvi questa equazione, trova questa lunghezza, risolvi questa disuguaglianza, applica questo, applica quello (in mezza riga, li abbiamo riassunti praticamente tutti). Gli effetti sono molteplici: in primo luogo, il senso di auto-efficacia degli studenti viene vincolato all’abilità di questi di emulare una calcolatrice, in seconda battuta si foraggia l’idea che la bravura in matematica consista nel saper moltiplicare numeri molto grandi. Non è un eufemismo: Orizzonte Scuola ha scritto che la fase nazionale delle Olimpiadi della Matematica prevede la risoluzione di complicate espressioni. Questo la dice lunga sull’ignoranza di certi giornalisti, nonché sull’inefficacia di alcune impostazioni didattiche. Ma anziché abbandonarci allo sdegno, cerchiamo di rettificare quanto ci sembra marcio, parlando chiaro:
1) l’abilità di calcolo contribuisce di certo all’abilità matematica, ma non ne costituisce i pilastri. Sono numerosi i matematici illustri non particolarmente abili nel calcolo mentale, comunque forieri di risultati profondi. Pascal e Babbage hanno posto le basi per la meccanizzazione dell’aritmetica elementare e non c’è vergogna di utilizzare la tecnologia a nostro vantaggio. È importante padroneggiare il meccanismo risolutivo delle equazioni di secondo e terzo grado, ma una volta acquisite le idee-chiave è del tutto inutile ripetere le stesse mansioni fino alla noia. Repetita iuvant è un motto con valenza molto locale, il tempo una risorsa assai preziosa;
2) prima le idee, poi i calcoli. Il computo è soltanto un mezzo per concretizzare delle implicazioni logiche, e la parte più rilevante nello svolgimento di una verifica non è riempire un foglio di numeri, ma illustrare con l’adeguata verbosità che si siano acquisiti i concetti previsti, le tecniche relative e si sia in grado di affrontare qualcosa a prima vista;
3) l’abilità in Matematica consiste nel saper coordinare efficacemente quanto si conosce e risolvere problemi in modo efficiente. A tale scopo non è possibile sacrificare né lo studio di una rigorosa teoria né l’esercizio costante nella risoluzione di quesiti adeguati. Lo sprone più grande non dev’essere il compiacimento per quel che si sa già fare, o per un bel voto in pagella: lo sprone più grande dev’essere la curiosità verso quello che non si sa ancora fare.

Test del girasole nero e soluzioni.